Sin dall'antichità tutte le feste e i banchetti erano accompagnati dal consumo di vino. Nei simposi il vino allietava la cena e la conversazione, le famiglie si riunivano con gli amici per discutere di politica, amore e filosofia. Si può quindi affermare che il vino sia simbolo di condivisione e convivialità. Tale aspetto è ancora più evidente se si considera come veniva consumato il vino durante i banchetti. Quella che noi oggi conosciamo come la "bottiglia di vino" fu inventata attorno al 1600, ma al tempo degli antichi greci e romani, per esempio, il vino era mescolato insieme all'acqua e spesso al miele in un grande vaso o in un anfora da cui veniva prelevato da ogni commensale. Sappiamo che, particolarmente per gli antichi greci, le divinità venivano rappresentate riunite in grandi banchetti e intente a consumare vino e che tali feste non fossero altro se non lo specchio di quelle quotidianamente organizzate dalle famiglie più potenti delle polis. Si può infatti dire che per secoli il vino abbia rappresentato il punto di contatto tra l'umano e il divino. Per molte civiltà il vino era il "nettare degli dei", un liquido ottenuto dalla fermentazione dell'uva e mescolato con acqua e miele, era il "sogno celestiale" per i popoli della Mesopotamia, proveniva dalla dea Osiride per gli Egizi, oppure scoperto e donato agli uomini dal dio greco Dioniso.
Quest'ultimo, con le sue imprese, rappresenta al meglio il superamento della condizione umana a favore del divino. Egli veniva infatti invocato nei riti dionisiaci affinché rinnovasse il ciclo vitale della natura e attraverso il vino offrisse agli uomini la possibilità di entrare in contatto con la divinità. Le cerimonie avevano un carattere liberatorio e chi partecipava a tali rituali entrava in uno stato di eccitazione e esaltazione, fino alla trance per dilatare la propria mente e partecipare alla vita ultraterrena. Anche Nietzsche nella "Nascita della tragedia" riflette sul concetto di dionisiaco inteso come emblema delle forze naturali che lasciano ben poco spazio alla ragione. Il filosofo riteneva che tale forza vitale si impossessasse dell'uomo rendendolo partecipe dell'armonia dell'universo e abbattendo tutte le divisioni e convenzioni costruite dalla società, riportandolo all'essenza della propria esistenza: istintuale, caotica e irrazionale.
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